In una sola sera – lunga quanto la storia del mondo – è concentrato il nucleo stesso del senso della vita, della morte, dell’amore, del dono reciproco, dell’amicizia con Dio.
L’evangelista Giovanni sceglie, in quell’ultima cena di Gesù con i suoi, di non raccontare l’istituzione dell’Eucaristia. Perché, forse non gli interessa? Come no, anzi, dal momento che Dio sogna in grande e sogna cose grandi, vuole regalarci il segreto di come nasce, si nutre, si trasmette, si vive l’Eucaristia. Tutto è racchiuso – nascosto eppur rivelato – dentro le parole, incandescenti come fuoco, che Gesù pronuncia nel suo lungo discorso, che è, sì, di addio, ma soprattutto di conferma del suo messaggio d’amore, perché arrivi da una stanza – il Cenacolo, appena illuminato da fiaccole, nella notte – al mondo intero, in pieno giorno, lungo i secoli.
Questo frammento del discorso di Gesù – in Gv 14,15-21, proclamato nella VI domenica di Pasqua – è simile ad un fuoco di artificio, che concentra la luce e la fa esplodere in alto, lanciando calore, energia, fuoco, luce nell’oscurità: protagonista è l’Amore, che danza con il Figlio e il Padre, è consolatore e presenza, esplode in vicinanza, paternità, conoscenza, guida, sicurezza; è frutto di preghiera, comunione intima, vita.
L’orizzonte è quello della gratuità, del dono. Amare è, infatti, dono di Dio e, dall’altro lato, è risposta stessa al dono: all’Amore risponde l’amore, perché la misura dell’amore è amare senza avere misura…